Da Windhoek al deserto del Namib

13.02.2002 17:53

Da tempo ripetevo a me stesso che il prossimo viaggio sarebbe stato in Africa, non quella islamica del nord, bensì l’Africa Australe. La scelta della destinazione non poteva che ricadere sulla Namibia, un paese, a detta di tutti, che comprende e racchiude molti aspetti del continente nero. Inoltre, in qualità di agente di viaggio, la compagnia di bandiera Namibiana, mi offriva un’occasione da prendere al volo. Convinco due compagne di viaggio, Mavi e Ila, e insieme partiamo per una nuova avventura.


Arriviamo a Windhoek di buon mattino. Ad attenderci all’aeroporto troviamo Sergei, il responsabile dell’agenzia di autonoleggio, con la macchina che abbiamo prenotato dall’Italia. Sergei, esplicate le solite operazioni di controllo minuzioso della carrozzeria dell’auto, della ruota di scorta e degli attrezzi, di luci e clacson, ci chiede la cortesia di accompagnarlo fino a casa; detto, fatto. Durante il tragitto ci raccomanda di guidare piano sulle "insidiose" strade sterrate della Namibia e poi, conosciuta la nostra destinazione (Sossusvlei), di evitare i tre passi di montagna: il Bosua, l’Us e il Gamsberg. Pur essendo le tre vie d’accesso naturali per raggiungere il deserto del Namib, sono valichi con strade molto ripide e secondo lui è molto meglio passare per Rehoboth e Klein Aub considerata la categoria di auto noleggiata. 
Fatto tesoro delle raccomandazioni di Sergei, impugniamo il volante e iniziamo il viaggio. L’unico problema è abituarsi alla guida a sinistra, ma basteranno soltanto poche ore perché diventi routine.

Windhoek, la capitale, non è per niente trafficata e non ha certo l’aspetto delle grandi metropoli africane. Per le ampie strade circolano belle automobili, sui marciapiedi si affacciano eleganti negozi. Qua è là spuntano graziosi edifici in stile europeo, come la vecchia chiesa luterana tedesca o la stazione ferroviaria olandese, mentre strutture moderne svettano dalla centrale l’Indipendence Avenue (ex Kaiser Strasse). La città colpisce per la sorprendente pulizia e per il rigoroso ordine, tant’è che non sembra neppure di trovarsi in Africa, ma, semmai, in Germania. Infatti, guida alla mano, stiamo cercando la Peter Muller Strasse dove si trova Christuskirche. Si intuisce subito la consistente impronta lasciata dal passato tedesco. Il solo elemento stonato è la popolazione. Accanto ai bianchi dalle fattezze tipiche teutoniche, c’è tanta gente di colore, forse l’unico elemento stonato, anzi meglio, visto che siamo in Africa, il solo elemento appropriato.

Per ristabilire di essere in Africa sono sufficienti pochi chilometri fuori di Windhoek. La strada asfaltata per Rehoboth è deserta. Al di là della metafora, lo è davvero, la strada sterrata < C 24 >. Tanta desolazione ci porta ad alcune riflessioni. Nessuno di noi è un meccanico, per tanto, se dovessimo avere guai seri rischieremo di rimanere isolati per un bel po’ di tempo. Le informazioni di Sergei si rivelano esatte, non superiamo alcun passo di montagna, ma iniziamo a sospettare di aver sbagliato strada. Avremmo dovuto attraversare il centro abitato di Klein Aub dopo 90 km, invece percorsi 105 km di pista sterrata ancora niente. Fermi sul ciglio della strada a studiare la cartina completamente aperta, sul cofano della macchina, siamo ancora indecisi su cosa fare, quando vediamo giungere un carro trainato da due asini. Non ci sembra vero, non avendo incontrato anima viva da Rehoboth fin qui. … eppure non è un miraggio, ma realtà. Intimo l’alt al conducente e cerco, cartina geografica alla mano, di farmi capire. Naturalmente non ci intendiamo, ma se non ho frainteso Klein Aub è poco più avanti e così è. Dopo dieci chilometri raggiungiamo il minuscolo paesino che a vederlo sulla mappa ci sembrava molto più grande. 
Un’ora prima del tramonto, arriviamo, infine, a Sesriem, Non aspettatevi niente, se non il minimo indispensabile. Si tratta di un vero e proprio accampamento: un benzinaio, un piccolo negozio in cui si vende di tutto, la sede del parco dove si acquistano i biglietti d’ingresso e due differenti tipi di sistemazioni, un campeggio e il Karos Lodge (il cui nome dice tutto). Nostro malgrado siamo costretti a scegliere il lussuoso lodge. A differenza di quanto ci avevano detto il camping non affitta tende e non avendone una appresso siamo obbligati a sistemarci al Karos Lodge. 
Sesriem è tutta qui, ma siamo d’altronde nel bel mezzo del parco del Naukluft. Davanti a noi si stendono le oceaniche onde, alte fino a 300 metri, del "Namib dunoso", ossia la parte sabbiosa del deserto del Namib. Sono così maestose che bisogna socchiudere gli occhi per metterle bene a fuoco ed accorgersi che si tratta di dune di sabbia e non di una catena montuosa. Sarà l’oscurità, sarà la distanza, ad ingannare la vista, non lo so, sta’ di fatto che solo quella di Elim, ad appena 5 km, da Sesriem, è facilmente distinguibile. 

Il Deserto del Namib, il deserto più antico del mondo, descritto dalla letteratura turistica in termini mitici, per la sua unicità, e illustrato in ogni libro fotografico sui deserti, per la seducente bellezza delle sue dune, è qui, proprio davanti a noi.

Andiamo a dormire con lo stesso febbrile stato d’animo di un ammiraglio pronto finalmente a salpare. Non ci resta che sperare, per l’indomani, in una bella giornata. Scioglieremo gli ormeggi di buon mattino. E’ ancora buio, infatti, quando andiamo a comprare i biglietti e a registrarci all’ufficio del parco. Abbiamo tutto il giorno a disposizione per esplorare il deserto, per scoprirlo, assaporarlo e viverlo secondo lo spirito del viandante. Capiamo immediatamente, non appena oltrepassiamo il cancello d’ingresso, perché è considerato uno dei deserti più accessibili del mondo. I circa 60 km di strada che s’incuneano tra le dune sono perfettamente asfaltati. Man mano che ci addentriamo le dune, su entrambi i fianchi della carreggiata, diventano sempre più alte. Lungo la via che ci separa dalla famosa "duna 45" (così chiamata perché si trova, appunto, a 45 km da Sesriem) il colore della sabbia cambia tonalità da viola a rosa, da rosso ad arancione. Incuranti dei chilometri, all’improvviso un minuscolo cartello ci indica che siamo giunti alla famosa duna. Non si capisce perché è tanto "famosa": tutto intorno ce ne saranno cento altre, altrettanto belle, se non di più. In ogni caso parcheggiamo l’auto e iniziamo a scalarla tenendo bene la cresta per fare meno fatica. Mavi e Ila salgono a piedi nudi, indifferenti al pericolo di essere morsicate da qualche piccolo animale. Nella sabbia vivono tante piccole creature che hanno saputo adattarsi alla perfezione all’ambiente ostile. Essendo mattino presto le tracce lasciate da scarafaggi, lucertole, ragni, scorpioni e serpenti, che si muovono di notte sulla sabbia tiepida per poi rifugiarsi nei strati sottostanti alla luce del sole, sono evidenti. Un po’ le invidio perché piacerebbe anche a me provare il voluttuoso piacere di sentire i granelli della sabbia scivolare sulla pelle, ma non voglio prendere rischi.
Una volta sulla sommità il panorama è grandioso. In basso è facilmente distinguibile l’intero uadi, il letto secco e pietroso dell’antico fiume dove oggi corre la strada ai cui fianchi s’innalzano le ciclopiche dune. All’orizzonte, in direzione nord vediamo le dune, davvero gigantesche, di Sossusvlei. Mavi e Ila scaricatemi le loro apparecchiature, cinepresa e macchina fotografica, scendono di corsa, trasversalmente, lungo il fianco della duna. Scendendo avverto già come il calore del sole, fin dal mattino, promette di arroventare la sabbia nel corso della giornata.
Ripresa l’auto, dopo 14 km, raggiungiamo il posto tappa suadentemente denominato "auto parking 2x4". Qui sostano dei fuoristrada che fungono da bus-navetta per l’oasi di Sossusvlei che si raggiunge alla fine di una pista di sabbia di 5 km. Di lì in poi, nessun mezzo è in grado di attraversare il susseguirsi mare di dune, se non una carovana di cammelli.

Sossusvlei è un’enorme pozza effimera, circondata da dune di sabbia color arancione-albicocca, alte anche più di 300 metri. La pozza raramente si riempie d’acqua, ma quando succede il paesaggio già suggestivo diventa, davvero, di ineguagliabile bellezza, come avremo modo di vedere attraverso le fotografie esposte nella sede del parco, a Sesriem. 
Se ogni deserto è famoso per determinate caratteristiche il Namib, specie a Sossusvlei, lo è per l’altezza delle dune, fra le più belle del mondo, e le piante (molte secche) che lo popolano.
Arrivare in cima questa volta è più faticoso, il sole ha riscaldato l’aria, la duna di Sossusvlei, inoltre, è assai più alta dei 150 metri della duna 45. Durante la salita mi consolo pensando che se la fatica è proporzionale al panorama che vedrò, una volta in vetta, lo sforzo sarà ampiamente ripagato. Noi mi sbagliavo. Resto a bocca aperta. A perdita d’occhio solo crinali di gigantesche dune si susseguono fino all’orizzonte Mi lascio avvolgere dallo spettacolo di questa natura primordiale, i miei sensi sono colpiti e la mia fantasia di viaggiatore scossa. I profili delle dune e la luce del sole creano ed esaltano le linee e le ombre delle dune. Mi siedo, stringo la sabbia tra i pugni delle mie mani e penso agli altri deserti visitati, ossia Merzuoga in Marocco, Nefta in Tunisia, Wadi Rum in Giordania, Sinai in Egitto, Siloli in Bolivia, Atacama in Cile, Ica in Perù... Nessuno è stato così maestoso e mastodontico. Mi sento minuscolo come un abitante del favoloso regno di Lilliput.

Sulla via del ritorno, sostiamo all’ombra di un albero, quasi a voler rimandare la fine della giornata. Contempliamo, tutti e tre, in religioso silenzio, il paesaggio circostante. Tutto intorno dune di sabbia, le immense dune del Namib, ma… che succede? Ora sembra che le dune, rispetto a prima, si siano rimpicciolite. O, forse, siamo noi ad essere cresciuti? 

Noi piccoli uomini all’ombra di grandi dune siamo cresciuti d’animo e, adesso, ben percepiamo le parole che disse un saggio capo indiano:
< Noi sappiamo che la terra non appartiene all’uomo è l’uomo che appartiene alla terra. Questo sappiamo. […] Quello che accade alla terra accade ai figli della terra. L’uomo non ha tessuto la trama della vita, in essa egli non è che un filo. Qualsiasi cosa faccia alla trama la fa’ a se stesso. > 

Ecco cosa può accadere nel deserto. Il deserto insegna a vivere.