El Cerro Chacaltaya: un 5.000 per tutti.
Se non siete alpinisti e neanche dei semplici escursionisti, ma intendete almeno una volta nella vita provare la soddisfazione di conquistare una vetta che superi i 5000 metri d'altezza, allora il Cerro Chacaltaya è quanto state cercando. Potrete dire, come noi, di essere stati a 5.395 metri sopra il livello del mare, senza correre alcun pericolo e troppa fatica.
L'unico serio rischio che potreste correre durante l'ascensione è il mal di montagna, il soroche come lo chiamano sulle Ande. Per altro facilmente evitabile con una preventiva acclimatizzazione, almeno di una settimana. Solo allora, quando l'organismo si sarà adattato all'altitudine, sarà possibile compiere la piccola grande impresa. Per quanto semplice non bisogna dimenticare che si tratta, comunque, di una salita a 5000 metri.
La montagna in questione si trova in Bolivia e più precisamente nella Cordillera Real. L'ideale punto d'appoggio è la città di La Paz, dalla quale è possibile salire con un'escursione giornaliera. Quasi tutte le agenzie di La Paz organizzano escursioni al Chacaltaya, così come il Club Andino Boliviano; sì, avete letto bene "andino" perché qui siamo sulle Ande e non nelle nostre tradizionali Alpi. Le prime abbinano solitamente alla salita al Chacaltaya l'escursione nella Valle della Luna, mentre con il Club bisognerà, molto probabilmente, aspettare quanti saranno andati a sciare (in particolare tra gennaio e aprile). Sul Chacaltaya, infatti, si trova la stazione sciistica più alta del mondo. Il periodo migliore per effettuare l'ascensione è indubbiamente durante l'inverno, ossia tra giugno e settembre. Tra gennaio e maggio, il periodo delle nevicate, è necessario, prima di partire, informarsi sulle condizioni della strada d'accesso. Qualora questa sia transitabile è, in ogni caso, facile trovare neve lungo l'itinerario di salita. L'escursione tanto con le agenzie quanto con il Club Andino Boliviano dura un'intera giornata.
Un'ultima soluzione è noleggiare un taxi, come abbiamo fatto noi, purché si sia almeno in due persone affinché il prezzo resti competitivo, naturalmente dopo un'estenuante contrattazione. In tutti i casi la partenza è prevista il mattino presto. Il monte Chacaltaya entra a far parte delle cronache alpinistiche italiane nel 1965 quando l'alpinista, scrittore e cineasta Mario Fantin, durante una spedizione in Perù, non resiste alla tentazione di conoscere "il Tibet del Sud America" e si concede alcuni giorni per visitare la vicina Bolivia. Con poco tempo a disposizione fu giocoforza per Fantin compiere una sola "scarpinata", la più breve e facile, appunto sul Chacaltaya. Egli scrisse del Chacaltaya: "…un monte fatto apposta per fotografare la vicina Cordillera Real […] una strada è stata costruita fin quasi in cima; un piccolo rifugio alpino completa il quadro "addomesticato" di quella montagna…".
Aveva visto giusto Fantin. Oggi il Cerro Chacaltaya è considerato il belvedere della Cordillera Real, un susseguirsi di cime al di sopra dei 5.000 metri e molte abbondantemente sopra i 6.000 metri. Il panorama spazia dall'Illimani (6.462 mt.) al Mururata (5.775 mt.) fin oltre al Condoriri (5.696 mt.), ma la vista migliore è sul vicino Huayna Potosi (6.088 mt.), definito, da Reinhold Messner, una delle vette più belle del mondo.
L'appuntamento con il tassista è alle 05:00 del mattino davanti al nostro albergo. Siamo solamente io e Mavi. Cece e Michela, i nostri ineguagliabili compagni di viaggio questa volta decidono di non seguirci, visto l'intenso programma dei prossimi giorni. Aspettiamo una decina di minuti nel freddo pungente della capitale quando arriva il taxi. Il tassista non è lo stesso con cui c'eravamo messi d'accordo, ma così è - il Sud America è sempre imprevedibile - e partiamo. Strada facendo ci accorgiamo di quanto è brutto il tempo. Il quartiere El Alto, di La Paz, è interamente immerso nella nebbia, fitta e umida. Antonio, così si chiama il tassista, ci assicura che più in alto la nebbia sparirà. Detto fatto. Quando imbocchiamo le prime rampe della strada sterrata per il Chacaltaya la nebbia si dirada, anche se il tempo resta sempre brutto. La preoccupazione aumenta quando, con l'albeggiare, s'intuisce chiaramente quanto sia grigia la giornata. Davanti a noi, proprio sul Chacaltaya, ci sono nuvole scure e minacciose. La strada già di per sé pericolosa per gli impressionanti precipizi e burroni, a tratti è coperta di neve. Dopo due ore di viaggio, quando saremmo dovuti arrivare da mezzora, all'ennesimo difficoltoso passaggio di un tornante, decidiamo di rinunciare. Antonio è d'accordo. Nel primo punto possibile per girare l'auto torniamo indietro. Trovato il piccolo spiazzo che ci avrebbe consentito di invertire la marcia vediamo venirci incontro due cani. In questo contesto l'inaspettato avvistamento è per noi paragonabile a quello della terra per un marinaio. Scopriremo che sono i cani dell'UMSA il laboratorio di ricerca di La Paz che si trova 200 metri a valle del rifugio. Pensiamo, allora, di non essere troppo distanti da qualche abitazione. La supposizione si rivela azzeccata. Riprendiamo a salire e dopo neanche due minuti vediamo materializzarsi, tra le nubi, il centro di ricerca e il cartellone d'ingresso al Chacaltaya. Quest'ultimo indica l'altitudine, 5.260 metri sopra il livello del mare. Un centinaio di metri più avanti, sulla strada ormai pianeggiante, c'è il rifugio del Club Andino Boliviano.
Alla preoccupazione subentra ora uno stato di pacata euforia. Ci godremo la cima in completa solitudine. Meno di mezzo chilometro e 135 metri di dislivello ci separano dalla vetta. All'incirca mezzora di cammino, sì ripido, ma su un sentiero facile. Peccato per il tempo davvero ingrato. Siamo nel bel mezzo di un corpo nuvoloso che c'impedisce di godere del fantastico panorama. Antonio sembra il più entusiasta. Dice di non esserci mai stato e chiede se può salire in cima con noi. Gli diamo parte della nostra attrezzatura: un pile, un paio di guanti e delle scarpe da trekking (al posto dei mocassini che calzava) e partiamo. Nonostante la scarsissima visibilità è impossibile perdere il tracciato del sentiero, il quale lambisce il ghiacciaio delle piste da sci. Antonio ci precede, sale veloce, tento di stargli dietro, lo vedo a male a pena e dopo qualche minuto lo perdo di vista. Lo ritrovo dieci minuti dopo dentro una specie di garitta dove si è seduto per riposarsi e ripararsi dal vento. Mi dice di essere stanco ed affamato. Gli offro del cioccolato e lo convinco a salire più piano e stare dietro di me. Da qui in avanti procederemo uno dietro l'altro. Nel frattempo arriva Mavi, la sola ad essere salita regolarmente, ossia facendo delle pause di una decina di secondi a rifiatare, ogni venti passi. Le dico di continuare che l'avremo raggiunta. La raggiungeremo quindici minuti più tardi, solo sulla cima. Il tempo impiegato da Mavi è stato di 35 minuti. La temperatura è abbondantemente sotto lo zero e tira un forte vento. Insomma fa freddo! Molto freddo! Il Chacaltaya si è dimostrato più faticoso del previsto a causa delle avverse condizioni meteo, a testimonianza che per quanto una montagna di 5.000 metri sia addomesticata resta pur sempre una grande montagna.
Ci aspettavamo di vedere dalla cima di un'alta montagna, qual è il Chacaltaya, la vista sublime dell'Huayna Potosì e delle altre montagne che si sollevano ancora più alte e maestose. Ci aspettavamo un panorama unico, invece siamo prigionieri di una nebbia sempre più fitta, ma a nessuno di noi importava. La soddisfazione era palese sui nostri visi sferzati dal vento gelido. Scendiamo con lo stesso stato d'animo di chi ha compiuto un'impresa: avevamo conquistato una vetta di 5.395 metri.
Prima di congedarmi voglio lasciarvi l'indirizzo del nostro compagno, Antonio. Mi piace ricordarlo come un compagno d'avventura perché non fu meno desideroso di noi nel riuscire ad arrivare sulla vetta.
Potete trovare Antonio Usnayt, autista della movil n° 08, presso la "City La Paz - Radio Taxi" in Guerrilleros Lanza N° 638 a La Paz.